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Bambini e COVID-19: cosa (non) può fare il dirigente scolastico

E’ inutile negarlo, il COVID-19 fa paura a tutti noi genitori che ogni giorno mandiamo i nostri figli a scuola sapendo che il rischio di contagio è in agguato. D’altra parte non possiamo nemmeno tenerli chiusi in casa se per fortuna stanno bene, emarginandoli da un sistema che, seppure a singhiozzo, va regolarmente avanti.
Come già sanno quelli di voi che mi seguono su questo family blog e sui relativi canali social, io ho una bimba di 6 anni che frequenta la scuola primaria. E da mamma, oltre che da rappresentante di classe, negli ultimi giorni mi sono trovata più volte a pormi delle domande e a cercare delle risposte.
In particolare, prendendo spunto da episodi realmente accaduti e fatti di cronaca, mi sono chiesta quali siano realmente le competenze (e i poteri) di un dirigente scolastico nella gestione delle problematiche legate al COVID-19.
Perché è facile e immediato attribuire colpe e responsabilità alla scuola, ad esempio, per una mancata messa in quarantena di una o più classi ma non è noto a tutti quali siano le procedure per poter attuare realmente una simile disposizione.
Per chiarire bene i vari dubbi, miei e delle famiglie che mi leggono e hanno figli da 0 a 14 anni, ho ritenuto opportuno rivolgere le mie domande proprio ad un dirigente scolastico! Ovviamente, per evitare a monte qualsiasi possibile conflitto d’interesse, non ho coinvolto la scuola di mia figlia ma ho individuato una figura perfetta per questo compito.
Si tratta di Angela Milella, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo di Trino Vercellese, in Piemonte, che con i suoi 4 plessi (Scuola dell’Infanzia, Scuola Primaria e Scuola Media Statale) racchiude tutte le fasce d’età di nostro interesse.
Tralasciando i mille aspetti giuridici e normativi che regolano la questione, che chi vuole può approfondire in altra sede, con lei ho cercato soprattutto di analizzare e sintetizzare in maniera semplice e concreta cosa può e deve fare l’istituto scolastico di fronte ad un sospetto o accertato caso di COVID-19 tra alunni o docenti. E cosa, invece, non può fare perché al di fuori delle proprie competenze e responsabilità.

Partiamo dalla prima ipotesi.
Un bambino racconta in classe, ai compagni o alla maestra, che uno o più suoi familiari stretti sono positivi al COVID-19. Può la maestra comunicarlo alla dirigente e, di conseguenza, la scuola prendere provvedimenti?
Purtroppo no” – spiega Angela Milella – “per vari motivi. Innanzitutto perché la dichiarazione del bambino, essendo un minore, non è rilevante a livello giuridico. Sappiamo bene che i bambini possono anche avere una comprensione e percezione diversa e sbagliata della realtà o interpretare quello che sentono a casa in modo inesatto. Inoltre, per la tutela della privacy, la scuola non può nemmeno interpellare i genitori del bambino in questione per chiedere loro dati riservati sulla propria salute. In assenza di una comunicazione ufficiale ricevuta dalla ASL con la richiesta di quarantena per il bambino, il dirigente scolastico non può fare nulla né può impedire all’alunno di continuare a frequentare regolarmente le lezioni. Ovviamente parliamo di un bambino che sta apparentemente bene e non mostra alcun sintomo evidente di ipotetico contagio. Dovrebbero essere i genitori a rivolgersi al medico di famiglia che dovrebbe a sua volta segnalare la situazione alla ASL che è tenuta a dare in breve tempo disposizioni alla scuola“.
E se poi dovesse risultare positivo anche il bambino in questione cosa succede?
Anche in questo caso, qualora venga appurata tramite tampone la positività del bambino, la richiesta di messa in quarantena del bambino e dell’intera classe deve partire dalla ASL” – precisa Angela Milella – “e il dirigente scolastico può attivarsi di conseguenza solo dopo aver ricevuto un documento ufficiale che lo autorizza a procedere in questo senso“.

Passiamo alla seconda ipotesi.
Se a dichiarare, pubblicamente o in via confidenziale ad un altro collega, di essere positivo è un docente cosa può fare la scuola?
Anche in questo caso, purtroppo, il dirigente scolastico non può prendere alcun provvedimento” – precisa Angela Milella – “se non riceve dalla ASL un certificato medico che attesti che il docente è in malattia e in attesa dell’esito di tampone che confermi la positività del docente”.
E se poi, invece, la positività del docente viene accertata e comunicata ufficialmente dalla ASL alla scuola cosa accade?
“Qualora un insegnante risultasse positivo al COVID-19, il Dipartimento di Prevenzione valuterà la possibilità di prescrivere la quarantena a tutti gli studenti delle classi con cui è venuto a contatto e all’eventuale personale scolastico esposto che si configuri come contatto stretto. Ma la decisione di chiudere una scuola o parte della stessa” – continua Angela Milella – “dovrà essere sempre valutata dal Dipartimento di Prevenzione della ASL, non può essere presa dal Dirigente Scolastico. Come riportato inoltre da una circolare diffusa dal Ministero dell’Istruzione proprio l’altro ieri, solo nel caso in cui il docente è in isolamento fiduciario e non ha sintomi da COVID scatta per il docente l’obbligo di predisporre ed attuare l’attività didattica a distanza per i propri alunni”.

E arriviamo alla terza ipotesi.
Cosa succede se un docente ha un figlio che frequenta una classe o una scuola che è stata messa in quarantena? Può continuare ad insegnare o deve restare a casa?
Può e deve continuare regolarmente a lavorare” – afferma Angela Milella – “perché è stato stabilito che la quarantena del figlio non costituisce impedimento all’esercizio della sua professione“.
E se viene poi accertata, invece, la positività del figlio?
In questo caso, sempre su indicazione della ASL” – precisa Angela Milella – “può essere comunicata alla scuola la messa in quarantena dell’insegnante“.

Ricapitolando, quindi, il Dirigente Scolastico (DS) in questi casi può solo seguire e mettere in pratica le indicazioni ricevute dalla ASL di competenza.
Ovviamente si dà per scontato che abbia preliminarmente predisposto tutte le misure organizzative e preventive previste dai vari DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), dalle note del Ministero dell’Istruzione, dai protocolli regionali e così via e che si attenga scrupolosamente alle procedure in essi contenute.
Il problema è che purtroppo in tutta Italia i sistemi di tracciamento delle ASL stanno andando in tilt” – conclude Angela Milella – “e quindi le comunicazioni alle scuole spesso arrivano tardi o non arrivano affatto mettendo in difficoltà il Dirigente Scolastico e tutto lo staff appositamente predisposto, a cominciare dal referente COVID-19 che per legge ogni istituto deve avere nominato e che ha il compito di svolgere un ruolo di interfaccia con il dipartimento di prevenzione e di mediazione con le famiglie“.

Non resta dunque che affidarsi al senso civico e morale delle famiglie invitando tutti coloro che hanno avuto contatti ravvicinati con soggetti positivi o manifestano sintomi riconducibili al COVID-19 a restare a casa e non mandare a scuola per precauzione i propri figli e nipoti sino al risultato del tampone.
E non dimentichiamoci che tutti dobbiamo sempre rispettare le norme essenziali di igiene e di sicurezza, a cominciare dall’utilizzo corretto della mascherina (che deve coprire sia il naso che la bocca), del lavaggio frequente e accurato delle mani e del giusto distanziamento quando siamo con altre persone.

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