Molti genitori sono preoccupati perché i figli mangiano poche verdure. E si domandano come invogliarli a consumarne di più…
Ho chiesto informazioni e consigli alla biologa nutrizionista Floriana Martiradonna, esperta di queste tematiche (trovate alla fine del post qualche info su di lei).
Leggete cosa mi ha suggerito e quali sono gli errori da evitare nell’educazione alimentare dei bambini.
Perché molti bambini non amano le verdure o, addirittura, le odiano profondamente?
Ci sono delle ragioni storiche, fisiologiche e biologiche.
All’inizio del ‘900 le verdure (e la frutta) si introducevano molto tardi nella dieta dei bambini, a 2 o 3 anni e con grandi precauzioni.
I bambini stavano benissimo senza mangiarle perché prendevano ancora il latte materno che aveva tutte le vitamine necessarie.
Quando prese piede l’allattamento artificiale e ai bambini cominciarono a mancare le vitamine (i produttori di latte artificiale ci hanno messo anni per raggiungere una composizione “simile” a quella del latte materno), fu necessario anticipare l’introduzione di frutta e verdura. Però c’è un problema: la loro bassa concentrazione calorica.
I bambini hanno uno stomaco più piccolo del nostro, hanno bisogno di cibo concentrato, con molte calorie in poco volume. E mentre il latte materno ha circa 70 kcal per 100 grammi, la carota cotta per la stessa quantità ha 27 kcal, i fagiolini 15, la lattuga cruda 17.
Se li si lascia tranquilli, i bambini piccoli non sono soliti avere una ripugnanza totale verso le verdure, più che altro riescono ad assumerne una piccola quantità, magari qualche cucchiaiata. Ritenendo le verdure un cibo sano, qualche genitore pretende invece che il proprio figlio ne mangi un piatto intero, magari nel periodo dello svezzamento, proponendo al posto del latte materno delle pappette a base di verdure. Ma il latte ha il triplo delle calorie! Ecco che il bambino si rifiuta di accettare questo alimento, inizia il litigio e comincia ad odiare la verdura che dopo, quando sarà cresciuto, non vorrà più.
C’è un’altra ragione, biologica, ovvero legata alla nostra evoluzione. L’uomo ha un apparato digerente che gli consente di metabolizzare una grande percentuale di alimenti commestibili, per questo si definisce onnivoro. Nel corso dell’evoluzione, questo gli ha permesso maggiori possibilità di sopravvivenza ma al tempo stesso, per evitare di incappare in alimenti tossici o velenosi, ha dovuto sviluppare un meccanismo per difendersi e non mangiare tutto senza criterio.
Questo spiega il lungo processo di selezione che mettiamo in atto prima di accettare nuovi alimenti nella nostra rosa di cibi affidabili: si tratta di una diffidenza, necessaria all’onnivoro, nei confronti di cibi mai assaggiati prima. Madre natura non fa nulla per caso: ci ha dotati di questo campanello d’allarme!
L’uomo adulto ha molto mitigato questa propensione di “allarme alimentare ininterrotto” nel quale vivevano i suoi progenitori ma in età infantile, quando si stanno scoprendo nuovi sapori, questa caratteristica innata è ancora molto forte.
Il bambino è incuriosito ma anche impaurito dai nuovi alimenti, soprattutto dal sapore particolare, a volte amaro, come può essere quello delle verdure. Fortunatamente, con il passare degli anni, tale comportamento restrittivo si riduce notevolmente. Se invece permane significa che spesso ci sono condizionamenti psicologici dovuti ad eventuali esperienze negative provate nel passato per aver ingerito cibi mai assaggiati prima (siamo stati male, ad esempio, dopo aver mangiato dei cavoli).
Quanto contano, in positivo e in negativo, le influenze dell’ambiente sociale e familiare?
Giocano un ruolo molto importante! Spesso, quando un bambino è “costretto” per cause di forza maggiore (ad esempio si trova a mensa a scuola o a casa di un amico) a non poter rifiutare un cibo, ecco che mette da parte le sue reticenze.
Quante volte a casa con noi i bambini non mangiano un certo cibo e poi preparato da un’altra mamma lo mangiano tranquillamente (con nostro grande stupore)?
Accade frequentemente che fuori dal controllo familiare, pian pian il bambino inizia a sperimentare nuovi cibi. Questo si manifesta ancora di più in età tardo adolescenziale: pensiamo ai ragazzi che vanno a studiare fuori per l’università, non hanno quasi mai mangiato frutta e verdura ed ecco che magicamente, in un’altra città, con nuovi amici, iniziano a farlo!
Si può parlare di apprendimento sociale: la fiducia nei confronti di un alimento è contagiosa, un bimbo che sta con coetanei ai quali piacciono le verdure tende a provarle lui stesso. L’apprendimento sociale è perciò fondamentale per costruire il proprio bagaglio alimentare, ovvero la lista degli alimenti che preferiamo o rifiutiamo, in costante aggiornamento.
I genitori, nello specifico, hanno un ruolo centrale nella formazione del gusto dei bambini.
L’ambiente domestico diventa una palestra dove il bimbo acquisisce le basi della sua alimentazione, imitando e facendo sue le abitudini di mamma e papà. E’ decisamente più probabile che un figlio faccia colazione se i suoi genitori sono abituati a farla o che respinga certi alimenti secondo i gusti alimentari appresi a casa.
Allora al genitore che dice “mio figlio non mangia verdura (o un qualsiasi altro alimento)” chiedo “quali sono le vostre abitudini a casa? quante volte a settimana consumate verdura?”.
Pur non rendendosene conto, infatti, i genitori influenzano con le loro scelte il comportamento alimentare dei propri figli.
Ci sono studi che individuano la formazione del gusto alimentare già in epoca fetale: si è visto che una mamma che in gravidanza e in allattamento ha mangiato qualsiasi alimento, tendenzialmente ha bambini che sono meno reticenti a provare nuovi alimenti, in quanto conoscono già quei sapori.
Premesso quindi tutto quello di cui abbiamo detto sinora, cosa possiamo fare (o non dovremmo fare) con i nostri figli per improntare una buona educazione alimentare?
I bambini sono competenti ma mancano di esperienza. Vuol dire che sanno di cosa hanno bisogno, hanno cioè un meccanismo di autoregolazione del senso fame-sazietà che consente loro di non morire di fame ma nemmeno di diventare sovrappeso (se non intervengono altri fattori), hanno delle competenze alimentari innate e gusti raffinatissimi.
Ma il ruolo di guida spetta ai genitori, sono loro che hanno sempre la responsabilità dell’alimentazione propria e dei propri figli, decidono cosa comprare e quanto cibo mettere a disposizione dei bambini.
Il repertorio di gusti dei bambini si amplia e sviluppa nei primi 6-7 anni di vita. In questo periodo hanno luogo le esperienze personali destinate a regolare la loro alimentazione per il resto della vita. Chiedere ai bambini di cosa hanno voglia per colazione, pranzo o cena non significa lasciar loro decidere cosa deve essere messo a tavola quanto piuttosto dimostrare interesse per le loro opinioni. Dunque devono essere i genitori a prendere le decisioni ma non succede nulla di male se di tanto in tanto i bambini ottengono quello che vogliono.
C’è un principio generale che vale anche per l’educazione alimentare dei propri figli: se una persona viene presa sul serio, se la sua posizione per quanto diversa dalla nostra viene rispettata, con l’andare del tempo diventerà probabilmente più flessibile, mentre la persona che viene criticata tende a chiudersi e diventare più aggressiva.
- Cosa NON fare quindi a tavola per non peggiorare la situazione, nel caso un bambino non mangi verdura (o un qualsiasi altro alimento)?
1) Non decantare le mille proprietà nutrizionali positive di un alimento. Chi si sente attaccato di solito si mette sulla difensiva. É importante chiarire al bambino il proprio punto di vista ma senza diventare ossessivi e ripetitivi, per non ottenere l’effetto opposto.
2) Non obbligarlo imboccandolo altrimenti alimentiamo ancora più l’astio verso quest’alimento e il bambino, appena diventerà un pò più indipendente, finirà davvero per non volerlo più mangiare. Mai, mai obbligare il bambino a mangiare!!!
3) Non fare paragoni con fratellini/amici/figli dei vicini che (secondo noi) mangiano tutto e di più.
4) Non corrompere il bambino e usare del cibo più goloso (es. dolci) come ricompensa se promette di mangiare la verdura che vogliamo noi.
5) Non usare frasi del tipo “se mangi tutto, la mamma è contenta”, “devi finire tutto altrimenti non diventi bravo come papà”, “pensa ai bambini che soffrono la fame”, “se finisci tutto, ti compro una cosa che ti piace”.
- Cosa invece possiamo fare per invogliare i nostri bambini a mangiare più verdura?
1) Le verdure possono essere cucinate in molti modi ma spesso i bambini le mangiano più volentieri crude negli spuntini. Anche questa modalità è assolutamente valida.
2) Coinvolgiamo il più possibile i bambini nella preparazione dei menù, partendo dal momento della spesa. Ad esempio facciamo capire loro la differenza tra una carota fresca e succosa e una raggrinzita e legnosa…
3) Insegniamo loro ad usare le mani, gli occhi e il naso per scegliere dal fruttivendolo (cosi come in pescheria, dal macellaio, ecc…), l’infanzia è il tempo degli esperimenti.
4) Facciamo le cose insieme, prepariamo con loro i pasti (anche 1-2 volte la settimana, magari nei weekend). Oltre al valore nutritivo, il cibo che viene portato in tavola così diventa simbolo dell’impegno, dell’amore e della cura dei genitori.
5) Proviamo a proporre loro la verdura e la frutta non solo cotta o cruda intera ma sotto forma ad esempio di succhi, centrifugati, estratti. Proviamo a preparare soufflè o sformati di verdure, che di solito piacciono di più ed inoltre curiamo l’impiattamento. Sempre facendoci aiutare da loro, divertiamoci a creare delle faccine buffe o degli animaletti con le verdure. Ricordiamoci che anche un piccolo piatto di verdure o frutta è sufficiente spesso ai bambini per garantire un buon apporto di vitamine e minerali.
A chi vuole approfondire ulteriormente l’argomento consiglio infine la lettura di questi 3 libri: “Ragazzi a tavola”di Jesper Juul,”Il mio bambino non mi mangia” di Carlos Gonzales e “Drogati di cibo” di Armando Piccinni.
La Dottoressa Floriana Martiradonna è laureata in Scienze Biologiche presso l’Università degli Studi di Bari e specializzata in nutrizione con Master universitario di 2° livello in “Nutrizione e Dietetica” presso l’Università Politecnica delle Marche.
É socia AIDAP (associazione italiana disturbi dell’alimentazione e del peso) e SISDCA (società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare).